Archivi della categoria: Violenza e Abuso

I figli di genitori alcolisti

ImmagineQuando si parla di persone alcool-dipendenti, troppo spesso si sottovalutano le persone che vi sono intorno, in particolar modo i figli. Ecco un interessante articolo scritto dalla dott.ssa Annabell Sarpato dove si discute su come affrontare il tema della dipendenza con i figli di genitori alcolisti.

L’alcolismo, infatti, è una forma di dipendenza legata all’assunzione di bevande alcoliche, con conseguente sofferenze fisiche e psicologiche. L’alcolismo è un disturbo molto diffuso; addirittura, negli Stati Uniti, è al terzo posto di mortalità, dopo le malattie cardiache e il cancro. Quando si parla di alcolismo, però, l’attenzione viene posta principalmente sul soggetto colpito e sul suo comportamento compulsivo. Questo, però, non basta, perché, come evidenziano le ricerche, l’alcolismo è una patologia che affligge tutta la famiglia…per leggere l’articolo completo cliccare qui.

Mamma e figlia si ritrovano dopo 27 anni: la storia di Burger King Baby

ImmagineEra stata abbandonata a poche ore di vita nel bagno di un fast food della catena Burger King: è la storia di Katheryn Depril, ventisettenne della Pennsylvania, che proprio per la sua storia fu soprannominata dai media Burger King Baby.

Ma il desiderio di conoscere la madre biologica era troppo grande, e per questo decise di affidare a Facebook la sua richiesta: “Voglio che lei sappia che non sono arrabbiata – dice la ragazza – però ho tante domande da farle. Aiutatemi a trovarla“. E così è stato: poche settimane dopo le due donne si sono incontrate e hanno potuto raccontarsi le loro reciproche vite. La madre biologica racconta di aver subito violenza durante un viaggio all’estero all’età di 16 anni, e di aver tenuto nascosta la gravidanza ai genitori, per poi lasciare la piccola in un posto dove sarebbe stata certamente trovata.

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Istigata al suicidio sui social: quattrodicenne si getta dal tetto di un albergo abbandonato

images (75)Un’altra notizia di quelle terribili: suicida a 14 anni, istigata dalla rete. E’ la storia di Amnesia, il nickname con cui si faceva chiamare sul web, che cercava supporto, ma che invece ha trovato ben altro. Il social di cui si parla ha già alzato numerosi dibattiti e polemiche: si tratta di Ask.fm, un sito con più di 60 milioni di utenti, in cui in maniera anonima di possono porre domande e rispondere ai quesiti posti da altri iscritti. Alle frasi di Amnesia, alle immagini da lei postate di braccia tagliate, si possono leggere frasi come “Ucciditi”, “Non sei normale, curati. Nessuno ti vuole, nessuno”. Ed è così che Amnesia si è buttata nel vuoto, da un vecchio albergo abbandonato.

I genitori, disperati, si chiedono cosa sia potuto succedere. Inquietante l’ultimo scambio di messaggi con il ragazzo con cui aveva iniziato a uscire da qualche tempo. Alla frase “Ti preso, non potrei più vivere sapendo che non ci sei più perchè non sono riuscito ad amarti abbastanza” del ragazzo, lei ha risposto”Sai quanta gente resterà con questo peso…”.

Tratto da Corriere.it.

Primo Codice di Autoregolamentazione per il contrasto del cyberbullismo: come consultarlo?

images (67)Spesso, anche in questo spazio, abbiamo parlato di cyber-bullismo, anche riportando tragici casi di cronaca che hanno visto protagonisti giovani vittime.

Da oggi è stato fatto un passo avanti: è stata approvata la bozza del primo Codice di Autoregolamentazione per il contrasto di questo fenomeno. Esso, infatti, prevede che gli operatori della Rete si impegnino ad attivare specifici meccanismi per segnalare episodi di cyberbullismo. Questi devono essere ben visibili, semplici e diretti, al fine da fungere da strumenti utili per tutti coloro che si trovano in queste situazioni.

Si può consultare il codice per 45 giorni sul sito del Ministero, all’indirizzo http://www.sviluppoeconomico.gov.it .

“Oltre la fiaba di Hansel e Gretel”: una riflessione sui temi dell’abuso e della violenza ai danni dell’infanzia

ImmagineOggi vogliamo presentarvi un interessante articolo scritto dalla collega Marianna Salvato, psicologa, psicoterapeuta specializzanda presso l’istituto “Studi Cognitivi” di Milano. Attualmente svolge attività di tirocinio presso cps bZona 72 dell’ Az. Ospedaliera Luigi Sacco e collabora con la Cooperativa Solidarietà e Azione, con sede in Sicilia.

Buona lettura!

 

Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia.” recita l’Art.1 della Legge 4 Maggio 1983, n.184 che disciplina l’adozione e l’affido di minori.

La letteratura psicologica a riguardo si presta a supporto di tale normativa, evidenziando l’importanza vitale delle cure materne, la cosiddetta funzione di holding, nel corso del primo anno di vita e il diritto del bambino a un’esperienza primaria di casa “senza la quale non possono essere poste le fondamenta della salute mentale” (Winnicott, Britton, in Bowlby 1952).

Ispirata dalla mia breve esperienza nell’ambito dei servizi sociali residenziali per minori e dalle biografie di bambini vittime di violenza familiare, che con i loro sguardi impregnati di innocenza, il loro essere in un mondo talvolta troppo spudorato, mi hanno quasi costretta a toccare con mano verità dolorose e indicibili, mi sono immersa in una riflessione sull’abuso e la violenza ai danni di minori, realtà attorno alle quali ancora oggi la comunità sociale continua a disseminare tabù.

Da una prima analisi della letteratura emerge una triste realtà: la violenza ai danni dei bambini rappresenta, purtroppo, un fenomeno senza tempo e profondamente radicato nella storia antropologica della nostra civiltà. Nonostante il dilagare del sapere psicologico e pedagogico, che riconosce al bambino esigenze e bisogni affettivi di vitale importanza, il fenomeno della violenza minorile, fisica, psicologica e/o sessuale che sia, rappresenta, per la sua entità, un’emergenza sociale non trascurabile, le cui risonanze sullo sviluppo psichico del bambino dovrebbero renderlo un problema di interesse collettivo. In Europa è vittima un bambino su cinque e, più frequentemente di quel che si crede, il mostro è sotto il letto, tra le mura del focolaio domestico. Quello di cui stiamo parlando, insomma, non è solo carta scritta dei giornali di cronaca, bensì brutale realismo. Gli sguardi che ho incrociato durante la mia esperienza in comunità sono solo una piccola parte della grande testimonianza vivente della tragedia che troppo spesso si consuma tra le mura domestiche, quelle quattro mura che dovrebbero proteggere e che invece si prestano a divenire scenari oscuri in cui si consuma l’esperienza di mostruosa violenza. Quelle che ho ascoltato sono voci che rivelano storie di abusi, di maltrattamenti fisici e psicologici, di trascuratezza e deprivazione affettiva, storie di dolore di bambini costretti a crescere troppo in fretta, storie di vite dissipate, deturpate e gettate via.

L’esperienza nel reale ci rivela una dimensione di drammaticità che talvolta, purtroppo, non lascia alcuno spazio ad una potenziale progettualità familiare, alla possibilità per il minore di sperimentarsi nel proprio contesto relazionale di origine, essendo quest’ultimo focolaio di violenza tribale, palcoscenico preferenziale dove si mette in scena la tragedia familiare di cui tutti i protagonisti sono vittime designate e autori al tempo stesso. Queste righe vogliono essere un tributo a quei bambini prigionieri della loro solitudine, a quei fragili corpi che portano dentro il peso insostenibile di segreti terribili e devastatori, segreti famigliari attorno ai quali cala il sipario, il buio pesto. Contribuire all’abbattimento di quell’alone di omertà, o almeno provare a vedere cosa accade realmente al di là di quel muro di pietra che, spesso, l’atteggiamento della nostra società, con i suoi tabù, contribuisce a mantenere attorno a queste storie di sofferenza, diventa oggi un impegno etico, un dovere morale, un fatto di coscienza pubblica. Come operatori e, ancor prima, come persone umane, siamo chiamati, dunque, a riconoscere le resistenze emotive e sociali all’ascolto delle storie di sofferenza delle piccole vittime di maltrattamenti per poterle contrastare attivamente e favorire l’abbattimento del fenomeno di tabuizzazione che esiste ormai da secoli: se è vero infatti che spesso mancano le parole per raccontarsi, è altrettanto vero che ancora più spesso non vi sono orecchie e menti adulte capaci di ascoltare verità dolorose e indigeste.

Bullismo Femminile: come riconoscerlo e come intervenire

ImmagineEcco un interessante articolo scritto dalla Dott.ssa Annabell Sarpato su un fenomeno in forte aumento: il bullismo femminile. Di cosa si tratta? Come riconoscerlo? E, soprattutto, come fronteggiarlo?

L’articolo, scritto per la pagina del Dott. Davide Algeri, parla dell’importanza della prevenzione e dell’educazione emotiva. Una parte verrà spesa anche per spiegare quali possono essere i percorsi utili, sia per la vittima che per la bulla.

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Le sculacciate fanno male?

ImmagineSono molti le ricerche che dimostrano la pericolosità delle punizioni corporali, sculacciate comprese. Le conseguenze? Comportamenti anti-sociali (rischio addirittura triplicato) e difficoltà cognitive.

Gli ultimi studi condotti dalla Columbia University di New York, pubblicati sulla rivista Pediatrics, confermano gli effetti negativi di queste pratiche: i bambini sculacciati, a 5 anni d’età, mostrano già comportamenti più aggressivi, capacità verbali inferiori alla media e vocabolario ridotto.

A quanto pare, anche nel Bel Paese, alzare le mani è un’abitudine molto diffusa; come dimostrato da un’indagine Ipsos, realizzata da Save The Children, più di un quarto dei genitori italiani usa lo schiaffo come metodo educativo. C’è chi lo usa in modo sporadico, ma anche chi (e parliamo del 5%) lo utilizza tutti i giorni.

Tratto da www.corriere.it

Bullismo e famiglia: inizia tutto da qui?

ImmagineIl bullismo è un fenomeno che sta diventando una realtà sempre più pesante. Ecco un interessante articolo, in cui viene evidenziata l’importanza del ruolo della famiglia come luogo primario dove apprendere rispetto ed empatia. Riprendiamo il titolo del contributo e chiediamoci: “Inizia tutto da qui?

Rimandiamo all’articolo de Il Corriere della Sera, che vogliamo utilizzare come spunto di riflessione per discutere di un tema di estrema importanza. Potete leggere l’articolo completo cliccando qui.

Pedofilo torna a vivere vicino alla sua vittima. Quali conseguenze per la bambina?

xtimthumb.php,qsrc=,hwww.mattinonline.ch,_wp-content,_uploads,_2012,_10,_youfeed-texas-bambina-di-4-anni-violentata-da-pedofilo-il-padre-lo-uccide-a-pugni.jpg,aw=456,ah=270,azc=1.pagespeed.ic.rzUxu6YgYcOggi volevamo riflettere su una di quelle notizie che lasciano senza parole, una di quelle notizie che non si vorrebbero mai sentire, una storia doppiamente tragica.

E’ una triste vicenda che ha fatto il giro di tutti i telegiornali: dopo anni di violenze su una bambina, una condanna di primo e secondo grado a tre anni di reclusione, gli viene revocato il divieto di dimora. Succede a Roma, ad un militare in pensione, carnefice per anni di una bimba che oggi ha 13 anni. E’ tornato a casa l’aguzzino della piccola, nella stessa palazzina dove abita la sua povera vittima, vittima che dal 2005 al 2010 ha subito violenze e soprusi. Il divieto di dimora viene revocato per “il tempo trascorso dall’adozione della misura” e per “l’età avanzata dell’imputato”.

Nessuno, però, pensa a quali possono essere le conseguenze di questa decisione sulla bambina.

E voi, cosa ne pensate?

Intraprese una coraggiosa battaglia per la giustizia della figlia: condannata ai lavori forzati

images (39)Ebbe la colpa di difendere la figlia, per questo fu rinchiusa in un “lajiao”, un campo di lavoro forzato. E’ successo a una donna, Tang Hui, madre di una bimba di 11 anni che nel 2006 fu rapita, violentata e costretta a prostituirsi: da lì a iniziato la coraggiosa battaglia per avere giustizia, denunciando i sette autori materiali del terribile gesto ed un gruppo di poliziotti, che, secondo lei, avevano tentato di coprire i delinquenti. Proprio per queste ultime accuse, la madre fu condannata a 18 mesi in un campo di lavoro per “aver gravemente turbato l’ordine sociale”, ma fortunatamente fu liberata una settimana dopo per le proteste che ne seguirono.

Ad oggi Tang Hui ha ottenuto un risarcimento di 326 euro per danni psicologici, ma non le scuse formali.

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